Justin Fashanu è stato il primo sportivo professionista a dichiararsi pubblicamente omosessuale, nel 1990. La sua speranza, nel momento del coming out, era quella di cambiare quella situazione drammaticamente macista che si era creata negli spogliatoi d'Inghilterra.
Pensate a come si possa sentire un uomo che per 10 anni ha dovuto sopportare insulti di tutti i tipi, anche dalla figura che lo avrebbe dovuto difendere, il suo allenatore al Nottingham Forest Nigel Clough, figura leggendaria del calcio inglese per i suoi trionfi sul campo, che lo aveva definito "a fucking fagot", un fottuto finocchio, e che nella sua autobiografia, con sconcertante orgoglio e omofobia convinta, riportava questo dialogo tra i due:
"Dove vai se vuoi una pagnotta?"
"Da un fornaio, immagino."
"Dove vai se vuoi un cosciotto d'agnello?"
"Da un macellaio."
" Allora perché continui ad andare in quei cazzo di locali per froci?"
In realtà la denuncia del giocatore non farà che peggiorare la sua immagine e lo renderà personaggio sgradito a tutti, anche alla comunità nera inglese e al fratello John. La vita di Justin era semplicemente un inferno, non poteva nemmeno godersi a pieno la passione della sua vita e il suo talento, tanto era mal visto nei tantissimi spogliatoi che aveva.
Un'accusa per stupro arrivata da un ragazzo inglese, porterà Justin alla decisione definitiva del suicidio, avvenuto nel 3 maggio 1998, quando fu trovato impiccato in un garage londinese nel quartiere di Shoreditch, con accanto un biglietto con cui dichiarava ancora una volta la sua innocenza, sperando che Gesù gli facesse trovare la pace. Per sempre.
Justin Fashanu (1961/1998)
Se pensate che qualcosa possa essere anche solo minimamente cambiato nel calcio a 17 anni dal gesto estremo dell'ex difensore di Norwich e Nottingham Forest, vi consiglio di rientrare nel mondo reale, perché il calcio è oggi ancor di più quell'ambiente maschilista che ha portato alla morte di Fashanu, e stando a quel che afferma il conduttore, dichiaratamente omosessuale, Alessandro Cecchi Paone (che ammetto non essere proprio una fonte certa, ma sicuramente affidabile per quanto riguarda l'ambiente gay), anche nella nostra nazionale esistano giocatori omosessuali, costretti a reprimere i loro gusti sessuali per non trovare le porte sbarrate in ogni dove. E ormai da mesi si rincorrono le voci della presunta omosessualità di calciatori come ad esempio Cristiano Ronaldo.
In questa situazione si inserisce la querelle mediatica e sociale che ha sconvolto il calcio italiano e monopolizzato le pagine dei giornali negli ultimi due giorni:
Maurizio Sarri, l'allenatore del Napoli, durante il quarto di finale di Coppa Italia contro l'Inter, ha apostrofato pesantemente l'allenatore jesino, definendolo "frocio" e "finocchio". Ognuno su questa vicenda ha la sua opinione, ma prima bisognerebbe porsi una serie di domande: Sarri è omofobo? Siamo veramente tutti Mancini? Ma soprattutto, certe dichiarazioni possono essere definite semplicemente "cose di campo" che sul rettangolo iniziano e al di fuori finiscono?
Cerchiamo di dare delle risposte.
L'allenatore napoletano, più che omofobo per scelta, è figlio di una cultura in cui insultare i gay utilizzando queste parole era la normalità, una società in cui essere omofobi era la normalità, un'epoca in cui l'omosessualità era semplicemente un argomento di cui non si poteva parlare.
Questo è il naturale lato negativo di un allenatore che è portatore sano dei valori di un calcio omofobo, ma sicuramente più umano e meno attaccato ai soldi del business, un calcio in cui prima di arrivare alle grandi squadre era necessario passare per la naturale gavetta delle serie minori, un calcio che ha lanciato personaggi come Roberto Baggio e Dario Hubner, personaggi che ormai sono quasi impossibili da ritrovare.
Il fatto è che non è possibile ritenere le parole di Sarri semplicemente come un frutto di una rabbia momentanea, perché non è la prima volta che il toscano casca in questi tranelli. Nel 2014 infatti, utilizzò lo stesso termine per definire come il calcio stesse diventando sempre più uno sport di non-contatto, dopo un'espulsione a suo parere ingiusta nei confronti del suo difensore Mario Rui.
Abbiamo quindi compreso che Sarri è una persona che ha nel suo vocabolario certe uscite, e possiamo anche comprendere che un allenatore alla prima stagione sotto i riflettori possa incontrare grosse difficoltà mediatiche, dopo oltre venti anni passati nei campi polverosi di periferia, dove se ti andava bene c'era un giornalista del settimanale del paese, che non badava poi molto alle parole che utilizzavi.
Ma il vero problema non è Sarri. Non è Sarri l'omofobo, è la cultura con cui ha convissuto il calcio, che si riflette anche nelle dichiarazioni di un grande allenatore della provincia anni '90, Renzo Ulivieri, presidente dell'Associazione allenatori, che ha messo in mostra in maniera ancor più clamorosa quanto fosse arretrato culturalmente e razzista il pallone rotondo più amato al mondo.
Dal mio punto di vista, l'unica maniera per migliorare la situazione estremamente negativa che soffoca il calcio è punire aspramente chi si rende autore di questi commenti. Forse così cambierà qualcosa negli atteggiamenti dei calciatori e dei tecnici, e potremmo forse sperare in un calcio in cui tutti possano vivere come preferiscano la loro sessualità. E forse in America ci stanno già riuscendo....
Il titolo estremamente esagerato di Tuttosport. Lo stesso direttore del giornale si è poi pentito del titolo proposto, alla luce dei fatti avvenuti.
Mi sembra altrettanto chiaro però che non siamo tutti Mancini.
L'Italia è un paese estremamente vittimistico e ci sembra impossibile che in una contesa fra due persone ci possa non essere una vittima. Quindi nel dopo-partita ci siamo tutti quanti trasformati un po' in paladini dei diritti civili e Mancini sembrava la vittima, lo Charlie Hebdo del calcio italiano, mentre Maurizio Sarri sembrava destinato a diventare lo sceicco Al Baghdadi che attenta alla libertà di tutti noi di amare chi vogliamo.
Pian piano è diventato chiaro che il gesto di Mancini era allo stesso tempo estremamente furbo e atto a distogliere l'attenzione dalle solite domande sul brutto gioco della sua Inter, o se preferite del suo non-gioco.
La vicenda ha fatto uscire poi una serie di precedenti in cui Mancini non era stato altrettanto delicato nei confronti dei gay, oppure si era schierato per il perdono di alcuni atteggiamenti razzistici dei suoi tifosi o del suo vice.
il corpo del reato.
Se risentiamo con attenzione l'intervista dell'allenatore interista nel dopogara possiamo notare quanto anche lì si possano trovare tanti lati omofobici: "Sono orgoglioso di essere gay, se Sarri è un uomo" è una frase ambigua. Sottintende, se la prendiamo in maniera letterale, che gli omosessuali non siano veri uomini, e non riesco a pensare ad un'altra frase così clamorosamente omofobica come quella pronunciata da Mancini.
Subito, in difesa del suo allenatore, i tifosi e i giocatori del Napoli hanno affermato che le cose dette in campo devono restare in campo, come a giustificare i pesanti insulti di Sarri.
In realtà, penso sia chiaro che quest'idea crolli come un castello di carte appena in quel campo si presentino un numero infinito di televisioni da chissà quanti paesi.
Quando ricevi uno stipendio estremamente alto per dare un calcio al pallone o per mettere in campo undici uomini, automaticamente ti devi assumere anche delle responsabilità molto alte riguardo al tuo comportamento e soprattutto alle tue dichiarazioni. Proprio per questo motivo negli ultimi anni si è cercato di limitare ai calciatori l'uso dei social network, per limitare le potenziali gaffe degli atleti, che non sono sempre delle cime.
Per questo è molto importante che non si opti per la soluzione tipica all'italiana in questo caso. Due giornate di squalifica in Coppa Italia sono troppo poche per Sarri, e troppo pochi sono cinquemila euro di multa per l'allenatore interista.
Il calcio ha bisogno di cambiare, perché se ai tantissimi difetti del calcio moderno, ci aggiungiamo anche il problema dell'omofobia, in un epoca in cui ormai è chiaro che abbiamo tutti gli stessi diritti, lo sport più amato del mondo arriverà ad un punto di non ritorno. E per l'amore che il calcio ha instillato in noi appassionati, non penso che sia il caso di giungerci.