Questa appena passata è stata la settimana delle due grandi Classiche del nord, quelle del pavè, il giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix. Sulla pagina facebook di 14.25, ho voluto raccontare a mio modo queste due grandi gare. Riviviamo qusti due eventi.
Domenica 3/4/16. Giro delle Fiandre. Vincitore:Peter Sagan.
Oggi si è corsa la centesima edizione del Giro Delle Fiandre.
Cento volte in questi anni i ciottoli dei ripidissimi muri in pavé hanno visto il sudore scivolare via dalle biciclette. Cento volte hanno visto il sangue scorrere sulle gambe degli atleti. Cento volte hanno visto gli sguardi dei ciclisti scavati dalla fatica e ricoperti dalla polvere.
Ma perché i ciclisti si sottopongono a questo massacro? Perché provano a fare tutto il Kopperberg quando sanno perfettamente che dovranno mettere il piede a terra?
Questa corsa non è un semplice evento sportivo. È la dimostrazione lampante di come il ciclismo sia vita, di come sia la fatica provata a farti sentire sempre di più vivo. E dire di aver completato il Giro delle Fiandre, o come dicono gli autoctoni Ronde Van Vlaanderen, vale il rispetto e l'onore della gente.
La RVV è la festa del Belgio. Il giorno in cui anche i Valloni festeggiano, se a vincere è un Fiammingo. E mai come quest'anno il Belgio aveva bisogno di un successo. I tremendo attentati di Bruxelles hanno scosso la coscienza nazionale della gente, da troppo tempo sopita a causa di scontri campanilistici tra le due regioni. La morte improvvisa di Antoine Demoitie, vallone e di Daan Myngher, fiammingo, avvenuta mentre inseguivano il loro sogno ciclistico, in un paese dove le due ruote sono una religione, hanno rinforzato il desiderio di correre questa corsa e vincerla. Per questo, subito dopo essere caduto rompendosi la clavicola, Greg Van Avermaet, il corridore belga principale favorito alla vittoria, è crollato in un pianto inconsolabile. Piangeva perché la sua vittoria non sarebbe stata solo una gioia personale, ma sarebbe stata il momento di gloria per una nazione controllata a vista da migliaia di poliziotti e militari.
Non sapremo mai cosa sarebbe successo se Van Avermaet non fosse caduto, ma possiamo immaginarlo. Perché il vincitore della gara, Peter Sagan, ha dimostrato la sua superiorità indiscussa. Era il più veloce in volata, poteva aspettare, ma è stato il primo ad attaccare e quello più impegnato nel mantenere il suo vantaggio. E quando si è ritrovato sul punto più ripido del Paterberg con tre pedalate ha staccato Vanmarcke, l'ultima speranza indigena, con una forza ed una potenza incredibile. Andava sul pavé come se stesse pedalando sull'asfalto della Milano-Napoli. Evidentemente il Mondiale di Richmond ha scoperchiato il caso di Pandora e solamente da quel giorno abbiamo a disposizione il vero talento completo del fenomenale slovacco. È incredibile pensare come non avesse ancora vinto, prima di oggi, una classica monumento, e fa ancora più spaventò pensare che Sagan abbia ventisei anni. Ovvero, può dominare questo sport per i prossimi sette-otto anni. Potenza, eleganza ed una capacità di guidare la bici fuori da ogni logica umana. L'unico ciclista che può vincere quasi qualunque tipo di gara e che è capace di essere competitivo in pratica dodici mesi all'anno. Il primo Fiandre della storia di Sagan è stata la centesima edizione, ed è stato l'ultimo ballo fiammingo del suo più grande rivale, Fabian Cancellara, che voleva alzare le braccia per la quarta volta ad Oudenaarde per suggellare il suo status indiscutibile di leggenda, nell'anno del suo ritiro. Spartacus la Locomotiva di Berna ha ringraziato il pubblico al suo arrivo al secondo posto, e può ritenersi soddisfatto della sua gara, pure se il suo obiettivo era esclusivamente la vittoria. Perché Sagan oggi era infermabile, e rischia di diventarlo per molto tempo.
P.S. Dopo l'arrivo, Sagan ne ha approfittato per, come al solito, impennare e dare spettacolo. Dopo duecentocinquanta kilometri e dopo pendenze al ventidue percento. Non può essere un normale essere umano. Non può appartenere alla mia stessa specie.
Domenica 10/4/16. Parigi-Roubaix. Vincitore:Mathew Hayman
La dura vita del gregario nel ciclismo è fatta di lunghe fughe e di litri di sudore spesi per far vincere un altro. Non è un qualcosa che tutti possono accettare. Non tutti riescono ad ammazzarsi di fatica per nove mesi l'anno, masticando ogni centimetro di asfalto, e non riuscire ad alzare le braccia per festeggiare, e comunque essere felice. Non tutti possono partecipare quindici volte alla stessa leggendaria corsa e arrivare a trentotto anni senza mai essere stato minimamente in corsa per il trionfo. Il ciclista è un lavoro ingrato.
Oggi Matthew Hayman ha corso di nuovo la mitica Parigi Roubaix ed è partito all
'attacco quando di chilometri ne mancavano centottanta. Mancavano ventisette tratti in pavé e due giri nel velodromo, dove lo stesso Matthew era convinto di arrivare estremamente staccato, mentre tutti gli occhi del pubblico erano addosso al vincitore, probabilmente Peter Sagan, il campione del mondo appena uscito vincente dai muri del Fiandre, o Fabian Cancellara, la leggenda vivente al suo ultimo Inferno del Nord, o Tom Boonen, alla ricerca disperata del quinto successo in questa corsa (anzi, è preferibile il termine massacro), per superare definitivamente l'ingombrante ombra di Roger de Vlaeminck.
Alle 16:58 al velodromo di Roubaix invece ad alzare le braccia c'era proprio lui, Matthew. Boonen era li, subito dopo di lui, con la testa rivolta verso quelle tavole di legno che lui tanto conosce. Sagan doveva ancora entrare nella pista e Cancellara era oltre sette minuti dietro, pronto a ricevere la standing ovation meritata, dopo una carriera sempre al massimo, chiusasi con una scivolata sul fango di Mont Saint-Pevin, che insieme all'infernale Foresta di Arenberg e al Carrefour de l'Arbre rappresenta il più micidiale tratto di ciottolato della corsa.
Aveva vinto lui.
Quello che sembrava troppo stanco per rimanere attaccato al gruppo dei migliori, quello destinato a staccarsi appena Vanmarcke o Boonen o Boasson Hagen avessero deciso che era giunta la sua ora.
Non vinceva dal sei ottobre 2011, quando trionfò alla Parigi-Bourges, una delle nobili decadute quando si parla di corse. Il miracolo del gregario, l'underdog su cui nessuno scommetterebbe una lira che vince la gara più importante e magica dell'anno. Più che un vincitore, un sopravvissuto, ma soprattutto un uomo che è riuscito a scrivere righe importanti nel gigantesco libro del ciclismo.
Bisognerebbe dedicargli una statua, ma lui se la è già costruita, nel porfido leggendario del pavé francese. Allora speriamo che qualcuno presto gli voglia dedicare un film, o una canzone, o un libro. Perché questa è un'impresa da ricordare e da raccontare ai posteri. All Hail Matthew Hayman, ha detto il pavé. E il pavé non puoi contraddirlo, è lui che sceglie i suoi vincitori, oggi ha scelto un trentottenne australiano che ha donato tutto il suo sudore a lui, e il pavé è sempre riconoscente.