Essere un campione dello sport comporta tantissimi privilegi. Ad esempio: ogni persona che sente il tuo nome ha fissa nel cervello un'immagine, posta ad imperitura memoria della tua grandezza. Indipendentemente da tutto ciò che hai fatto in carriera, la prima cosa che viene in mente è un gesto, un'azione memorabile.
Se invece le tue imprese ti fanno assurgere al rango di leggenda, aumentano in maniera proporzionale anche gli avvenimenti memorabili. Così per MJ ricordiamo la schiacciata allo Slam Dunk Contest 1988 e il tiro allo scadere nella Finale del 1998 contro Utah e per Pantani ricordiamo la rimonta di Oropa e lo scatto sul Galibier nel corso dell'anno di grazia 1998, quando il romagnolo dominò le due corse più importanti al mondo, Giro e Tour.
La sua personale avventura da leggenda invece, Johan Cruijff l'ha scritta in meno di un mese, quando nel 1974 era la guida della nazionale più forte e più bella di tutte, che perse quel mondiale tedesco perché "Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince" o perché nell'infinita lotta tra bellezza e concretezza, quell'anno gli dei del calcio hanno deciso che in casa propria Gerd Muller non poteva farsi sfuggire quell'occasione come fosse un cross in area di rigore, casomai un cross arrivato a fine primo tempo di una partita giocata nell'Olympiastadion di Monaco.
In quel mese Johan ha dimostrato che he wasn't just a footballer, dimostrando una superiorità tecnica, fisica e soprattutto mentale sugli avversari. Vedeva il gioco in anticipo sugli altri e faceva assolutamente tutto quello che voleva. Proprio in quella dannata finale Cruijff decide di far passare i suoi in vantaggio. Primo minuto, da centrocampo il cosiddetto Profeta del Gol parte in dribbling saltando Berti Vogts come fosse un terzino di paese qualsiasi, arriva al limite dell'area prima di venire falciato da Uli Hoeness. Calcio di rigore per i tulipani, parte Neeskens (altrimenti detto Johann II), gol. Il suo cervello intuisce che c'è un buco dove passare e il suo corpo ne approfitta, con una velocità e un ritmo che non è fisicamente possibile mantenere per gli altri.
Ma la vera visione celestiale di Cruijff in quel mondiale è la cosiddetta Cruijff Turn, che ha visto il suo battesimo del fuoco (anche se le immagini dimostrano che l'olandese quella finta la aveva sperimentata molte volte precedentemente) il 19 giugno. Olanda-Svezia, partita bloccata, che finisce con uno 0-0 che risulterà essere l'unica partita di quella coppa del mondo in cui i fenomenali orange non segneranno un gol.
Stop. Fermiamoci un attimo.
La storia che voglio raccontarvi non è l'ennesimo pezzo dedicato alla leggenda dell'unico personaggio totale del calcio nella settimana della sua morte. Perché il calcio purtroppo ha troppo poco tempo per gli sconfitti. Non c'è spazio per chi ha subito sulla sua pelle la genialità dei campioni, ci si dimentica fin troppo facilmente degli altri, di quelli che hanno sempre fatto il loro lavoro ma hanno trovato spazio negli occhi di tutti solo per non essere riusciti a fermare quello bravo.
Ora ditemi quante volte avete visto questa finta, l'istante più famoso del calcio olandese. Immagino tantissime. Ma ora dimenticatevi di Cruijff, o meglio, guardatelo come un dettaglio secondario nel contesto dell'azione. Ora concentratevi sull'uomo che questa finta la subisce. Probabilmente non vi eravate mai accorti del suo essere umano e calciatore, e se al suo posto ci fosse stato un robot non sarebbe cambiato nulla. Sapete qual è il nome di quel difensore, qual è la sua storia o la sua carriera calcistica? Open wide your eyes, let this story begin.
Halmstad è una bella città che si siede accanto al corso del fiume Nissan, che sfocia nel mare del Nord regalando alla cittadina e al suo grande porto marittimo un fondamentale sostentamento economico. Inoltre il clima caldo e il tempo genericamente soleggiato nella stagione estiva rendono addirittura Halmstad una sede di turismo marittimo, con ospiti che vengono da tutta la Svezia. Esattamente settantaquattro anni fa in questa città è nato Jan Olsson, un ragazzo che fin da giovane dimostra un certo talento col pallone tra i piedi. Un talento non eccezionale, scoprirà andando avanti con la sua carriera, ma quanto basta per ottenere un posto come difensore nella squadra del posto, l'Halmstads BoldKlub.
Nel 1965 deciderà di trasferirsi nell'Advitabergs, cambiando notevolmente ambiente, passando da una città turistica ad una città totalmente dedita all'industria. Qui Jan troverà una seconda casa diventando una vera e propria bandiera della squadra, in cui giocherà fino al 1978.
Visto il livello della sua nazionale, viene scelto per guidare la difesa svedese ai mondiali del 1974, la coppa del mondo dopo la quale nulla sarà più come prima.
La Svezia dimostra un'incredibile solidità difensiva perché nel girone iniziale non subisce nemmeno un gol, nemmeno dal temibile squadrone olandese. Questo dovrebbe essere un motivo di vanto per Olsson e dovrebbe far notare le sue qualità al mondo intero.
Ma non saranno tre belle prestazioni a far entrare nella storia del calcio questo figlio della Scandinavia, portatore sano di tutti gli stereotipi fisici di quella gente. No, perché la storia vuole che Olsson si ritrovi la sfida quasi impossibile di marcare Johann Cruijff, e che sia lui a dover vedere davanti ai suoi occhi la magia del calcio sprigionarsi in tutta la sua meraviglia.
Quest'estate, durante un mio viaggio in Germania, ho avuto l'occasione di visitare il Westfalen Stadion, lo stadio del Borussia Dortmund dove si giocò quella partita nel 1974, e ho preso il biglietto per una visita guidata dell'arena, peccato solamente che il nostro accompagnatore parlasse esclusivamente il tedesco, e che io non sia in grado di comprendere il linguaggio teutonico.
Il momento più emozionante della visita è stata sicuramente l'entrata all'interno del prato da gioco, una grandissima emozione per un appassionato di calcio. Quando l'intero gruppo turistico si è seduto sulle panchine dello stadio, la guida ha indicato un piccolo pezzo di terreno alla nostra sinistra e ne ha parlato con toni entusiasti, mentre io cercavo disperatamente una qualche parola conosciuta che mi potesse indicare quale evento straordinario avesse ospitato un così insignificante ammasso di fili d'erba.
Solo qualche mese dopo, guardando su Wikipedia il tabellino di quello Svezia-Olanda ho svelato alla mia mente quale arcano nascondessero le dure parole della guida del Westfalen Stadion. Quel metro quadrato d'erba aveva visto Johan Cruijff girarsi su se stesso di novanta gradi con un'eleganza e una maestria tali da far sembrare quella finta impossibile la cosa più semplice di questo mondo.
"Non riesco a capire come abbia fatto. Pensavo che avrei preso quel pallone. Ancora non capisco. Anche adesso, se guardo il video, sono sicuro di prendere il pallone. Quando sta per calciare il pallone sono sempre sicuro che quel pallone lo sto per prendere, ma ogni volta mi sorprende. Amo tutto di quel gesto tecnico. Dopo la partita l'ho ringraziato e mi sono congratulato, pensavo fosse giusto farlo, anche se il risultato era di 0-0".
Intervistato dai media svedesi lo scorso 26 marzo, queste sono state le dichiarazioni di Olsson riguardo all'istante che ha cambiato la sua vita. Ha raccontato anche che in molti lo prendono in giro per quella finta, ma lui non prova rancore. Molto semplicemente è orgoglioso di esserci stato.
"In 18 anni di calcio al top non ho mai vissuto niente del genere". Questa frase vale tanto, a maggior ragione se a dirla è quello che questa azione la ha subita. Se chi da questo gesto dovrebbe essere umiliato, o ferito nell'orgoglio, definisce "un idolo" quello che è stato il suo carnefice, vuol dire che hai marchiato a fuoco la storia del calcio.
Di tutte le testimonianze sentite in questi giorni da figure più o meno importanti del calcio mondiale, quella di Olsson è quella che mi ha colpito di più e spiega chi e che cosa sia stato Cruijff per questo sport. Sarebbe stato bello se ci si fosse ricordati prima dell'uomo che è riuscito a fermare gli olandesi, ma non è riuscito a fermare la rivoluzione, ma che anzi se ne è innamorato.
"Non ho né foto né altro di quel momento. Non le voglio, mi ricordo tutto, nel mio cuore. Tutto di quella partita è nella mia mente e nel mio cuore. Io ho la memoria, ed è un momento che ricordo ogni giorno. Ogni giorno che penso al calcio, io penso a Johan Cruijff. Ho avuto il piacere di incontrarlo: un grande giocatore, un grande allenatore, un grande gentiluomo, penso che avesse tutto. Lui era il mio idolo."